Israele e la Questione dei Territori Occupati


Smontiamo in quattro parti la falsa narrativa sui territori occupati da Israele, una narrazione distorta che da anni si diffonde attraverso i mezzi di informazione di tutto il mondo. Ho scelto di mostrare questa successione di mappe perché è una delle più strumentalizzate per accusare Israele di essere una nazione abusiva e occupante, quando invece la realtà storica è molto più complessa e articolata.

Queste rappresentazioni grafiche spesso omettono il contesto storico, le guerre di difesa israeliane e il rifiuto arabo di qualsiasi soluzione diplomatica. La storia dimostra che Israele non ha occupato territori con la forza per espandersi, ma ha acquisito aree strategiche in seguito a guerre difensive e, in diversi casi, ha persino ceduto terre in cambio di una pace mai coltivata, purtroppo, dall’altra parte.


#1. Il mandato britannico, la Palestina non è un’entità

1516-1947

Nella prima mappa, si allude al fatto che alcuni insediamenti ebraici abbiano iniziato a divorare la Palestina, ma questa narrazione è fuorviante e non riflette la realtà storica. Nel 1920, la regione della Palestina, precedentemente sotto il dominio dell’Impero Ottomano, venne assegnata alla Gran Bretagna come mandato della Società delle Nazioni. Questo mandato aveva lo scopo di stabilizzare l’area, che all’epoca era segnata da forti tensioni etniche e da una generale incapacità di autodeterminazione delle popolazioni locali. La gestione britannica avrebbe dovuto garantire una transizione politica fino a una futura definizione dello status del territorio.

Durante questo periodo, la presenza ebraica nella regione aumentò attraverso acquisti legali di terreni. I puntini bianchi visibili nella mappa, spesso interpretati come insediamenti coloniali, erano in realtà proprietà private acquistate regolarmente da parte di fondi ebraici. Queste terre non erano fertili o abitate, ma perlopiù paludose, desertiche o improduttive, e furono vendute volontariamente da ricchi latifondisti arabi a prezzi molto superiori al valore di mercato. Gli acquirenti erano principalmente organizzazioni sioniste, il cui obiettivo era bonificare i terreni e renderli coltivabili e abitabili, contribuendo così allo sviluppo della regione.

Questo aspetto è fondamentale perché smonta la narrazione secondo cui gli insediamenti ebraici rappresentassero una forma di aggressione territoriale o un’invasione forzata. In realtà, non si trattava di territori sottratti ad alcuna nazione palestinese, poiché tale entità non esisteva in quel periodo come Stato sovrano. Le zone bianche della mappa, quindi, non simboleggiano una colonizzazione imposta con la forza, ma proprietà private acquisite in modo legale e migliorate attraverso un lungo e complesso lavoro di bonifica. Inoltre, molti di questi insediamenti portarono sviluppo economico e opportunità lavorative anche per le popolazioni arabe locali, creando un sistema che, in condizioni normali, avrebbe potuto favorire la cooperazione invece del conflitto.

Il nome Palestina:

Questo nome fu imposto dai Romani dopo la rivolta ebraica del 135 d.C., quando l’imperatore Adriano ribattezzò la provincia di Giudea in Syria Palaestina per cancellare l’identità ebraica della regione. Il termine deriva dai Filistei, un popolo non semitico scomparso secoli prima. Tuttavia, la Palestina non è mai stata un’entità politica indipendente, ma solo una designazione geografica usata nei vari domini che si susseguirono, inclusi Romani, Bizantini, Califfati islamici e Ottomani.


#2. L’ONU e l’aggressione da parte dei Paesi arabi

1947-1948

Nella seconda mappa, l’ONU, con la risoluzione 181 del 1947, propone un piano di partizione che prevede la fine del mandato britannico e la creazione di due Stati: uno ebraico e uno arabo. È importante notare che il termine “palestinese” all’epoca non indicava un popolo distinto, ma si riferiva a tutti gli abitanti della regione, inclusi gli ebrei. Sebbene il territorio assegnato a Israele fosse frammentato, di qualità inferiore, con molte aree paludose e desertiche, il governo ebraico accettò comunque il piano, vedendolo come un’opportunità per ottenere finalmente uno Stato indipendente. I comandanti arabi, invece, rifiutarono categoricamente la proposta, considerandola inaccettabile e ingiusta, preferendo il ricorso alle armi piuttosto che alla coesistenza.

Il rifiuto arabo non si limitò alla diplomazia: immediatamente dopo la dichiarazione d’indipendenza di Israele, il 14 maggio 1948, scoppiò una guerra su vasta scala. Gli Stati arabi confinanti, Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq, insieme a milizie arabe locali, attaccarono Israele con l’obiettivo dichiarato di annientarlo e sterminare i suoi abitanti. L’offensiva fu coordinata su più fronti, condotta da eserciti regolari ben equipaggiati contro una popolazione ebraica numericamente inferiore e con poche risorse militari.

Le conseguenze della guerra furono devastanti: circa 6.000 ebrei, pari a circa l’1% della popolazione israeliana dell’epoca (circa 650.000 abitanti), vennero uccisi nei combattimenti. Tra le vittime vi erano numerosi sopravvissuti all’Olocausto, che, dopo essere sfuggiti ai campi di concentramento nazisti, si ritrovarono ancora una volta a dover lottare per la propria sopravvivenza contro una nuova minaccia esistenziale.

Nonostante le difficoltà, Israele resistette all’attacco e, contro ogni previsione, respinse l’aggressione araba. Non solo sopravvisse, ma riuscì anche a consolidare il proprio territorio, garantendo così la propria esistenza come Stato sovrano, dimostrando che il suo obiettivo non era l’espansione, ma la difesa della propria indipendenza contro un’aggressione pianificata per distruggerlo.

La realtà della Nakba:

Termine con cui gli arabi indicano l’esodo palestinese del 1948, fu in realtà causata dai leader arabi stessi. Quando gli Stati arabi aggredirono Israele subito dopo la sua indipendenza, esortarono gli arabi locali a fuggire temporaneamente, promettendo che sarebbero tornati dopo l’annientamento di Israele degli ebrei. Tuttavia, Israele non ha mai forzato la popolazione araba ad andarsene, e in molte città gli ebrei chiesero esplicitamente agli arabi di rimanere e convivere pacificamente. Molti arabi che rimasero divennero cittadini israeliani, dimostrando che la loro espulsione non era un’azione sistematica, ma il risultato di scelte individuali influenzate dalla guerra e dalla disinformazione araba.


#3. L’occupazione giordana ed egiziana dei territori palestinesi

1949-1697

Nella terza mappa, a seguito della prima guerra arabo-israeliana, si giunge all’armistizio del 1949, che ridefinisce temporaneamente i confini della regione. In base agli accordi di cessate il fuoco, due Stati arabi prendono il controllo di territori che non erano loro assegnati dal piano di partizione dell’ONU: l’Egitto occupa la Striscia di Gaza, mentre la Giordania occupa la Giudea e Samaria, ovvero la regione oggi conosciuta come Cisgiordania. È importante sottolineare che queste aree non vengono trasformate in uno Stato palestinese, ma rimangono sotto il controllo militare ed amministrativo di Egitto e Giordania, senza che venga mai creato un governo autonomo palestinese o concesso alcun diritto di autodeterminazione agli abitanti arabi locali.

Durante il periodo di occupazione, né l’Egitto né la Giordania riconobbero alcuna forma di sovranità nazionale palestinese: la Striscia di Gaza venne amministrata dal governo egiziano, mentre la Giordania annesse formalmente la Cisgiordania nel 1950, conferendone la cittadinanza ai suoi abitanti. Tuttavia, questa annessione non fu riconosciuta dalla comunità internazionale, e le rivendicazioni di uno Stato palestinese indipendente rimasero inesistenti fino agli anni successivi.

Il concetto di popolo palestinese, così come lo conosciamo oggi, era ancora poco definito negli anni immediatamente successivi al 1949. Solo nei decenni seguenti il termine Palestina inizierà ad assumere un carattere politico, diventando un elemento centrale nelle battaglie diplomatiche e nei conflitti contro Israele. Organizzazioni come l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), fondata nel 1964, inizieranno a diffondere l’idea di un’identità nazionale palestinese distinta dagli altri Stati arabi, mentre prima di allora nessuna entità sovrana o movimento politico rilevante aveva avanzato una richiesta di indipendenza per un ipotetico Stato palestinese.

Le origini di Gerusalemme:

Gerusalemme è ebraica e non islamica per ragioni storiche, archeologiche e religiose. Fondata oltre 3.000 anni fa dal re Davide, divenne la capitale del Regno d’Israele e sede del Tempio di Salomone. L’Islam, invece, nasce solo nel VII secolo d.C., oltre 1.600 anni dopo la fondazione ebraica di Gerusalemme. La Cupola della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa furono costruite successivamente, sotto il dominio omayyade (fine VII secolo), su un sito già sacro per gli Ebrei. Nonostante la rilevanza per l’Islam, Gerusalemme non è mai stata capitale di alcun regno o califfato musulmano, mentre è sempre stata al centro della tradizione ebraica.


#4. Le prime amministrazioni palestinesi, grazie a Israele

1967-2023

Nella quarta mappa, si osservano le conseguenze della Guerra dei Sei Giorni del 1967, un conflitto che cambia radicalmente gli assetti territoriali della regione. Israele, di fronte alle minacce e ai movimenti militari di Egitto, Siria e Giordania, decide di lanciare un’operazione strategica preventiva, colpendo per primo e ottenendo una vittoria schiacciante in soli sei giorni. Con questa guerra, Israele prende il controllo di diversi territori: la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai dall’Egitto, le Alture del Golan dalla Siria, e la Giudea e Samaria (Cisgiordania) e Gerusalemme Est dalla Giordania. Il Sinai verrà poi restituito all’Egitto nel 1982, come parte degli Accordi di pace di Camp David, segnando il primo riconoscimento ufficiale di Israele da parte di un paese arabo.

A partire dagli anni ‘90, Israele avvia un processo di cessione di territori ai palestinesi per la loro autogestione. Nel 1994, con gli Accordi di Oslo, firmati da Yasser Arafat (OLP), Yitzhak Rabin (Israele) e Bill Clinton (USA) come mediatore, si definiscono le aree ABC in Giudea e Samaria (Cisgiordania), alcune delle quali passano sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Successivamente, nel 2005, Israele avvia la cessione completa della Striscia di Gaza, evacuando tutti i coloni israeliani e lasciando il controllo amministrativo ai palestinesi. Questa decisione si rivelerà il 7 ottobre 2023 essere stata pessima per la sicurezza di Israele.

Negli anni 2000, di fronte all’ondata di attacchi terroristici arabi contro i civili israeliani, Israele decide di costruire il muro di separazione, una barriera difensiva per prevenire infiltrazioni terroristiche e proteggere la popolazione. La costruzione inizia nel 2002, durante la Seconda Intifada, e si dimostrerà un elemento efficace nella riduzione degli attacchi terroristici all’interno del territorio israeliano.

È importante sottolineare che questa è la prima volta nella storia in cui ai palestinesi viene data una forma di autogoverno. Infatti, né l’Egitto né la Giordania, che occupavano questi territori tra il 1949 e il 1967, avevano mai concesso alcuna autonomia o indipendenza ai palestinesi. Paradossalmente, è solo dopo il controllo israeliano che nasce la possibilità di un’amministrazione palestinese locale, con un’autonomia che prima non era mai stata concessa dai precedenti governi arabi. In sostanza, le aree verdi dell’ultima mappa rappresentano la prima occasione storica per un’amministrazione palestinese, mentre in precedenza gli stessi territori erano sotto il controllo diretto di Egitto e Giordania, senza alcuna concessione di autodeterminazione per la popolazione locale.

Il fallimento degli Accordi di Oslo:

Stipulati negli anni 1993-1995 avrebbero dovuto avviare un processo di pace tra Israele e l’OLP, ma furono mandati in fumo da Yasser Arafat. Nonostante avesse ufficialmente accettato il riconoscimento di Israele e l’autonomia palestinese in alcune aree, continuò a sostenere il terrorismo e a incitare all’odio contro Israele. Dopo Oslo, anziché promuovere la pace, l’OLP intensificò gli attacchi suicidi e la violenza, culminando nella Seconda Intifada (2000-2005), che causò migliaia di morti.

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